Tra le coincidenze che hanno caratterizzato la storia del plagio di “Fisica della mente”, ce ne è una di cui mi sono reso conto solo dopo alcuni anni. Il brano che segue è tratto dal mio romanzo “Asia Anderson e i fantasmi del tempo”, pubblicato nel 2009, ma finito e spedito alle prime case editrici nei primi mesi del 2007, prima di scoprire il plagio di Leisman e Koch.
Arun e
padre Charles erano seduti nell'ufficio del professor Patrick Barrymore ai
Laboratori Blacket dell'Imperial College di Londra. Il professore aveva accolto
con viva cordialità il suo collega, di cui ammirava la grande originalità del
lavoro scientifico. Pur se tra i due scienziati vi erano grosse differenze di
impostazione – Barrymore era uno sperimentatore mentre Arun Majumdar era
prevalentemente un teorico – Patrick Barrymore aveva cancellato tutti i suoi
impegni per accogliere il collega.
Majumdar
aveva motivato la sua improvvisa visita con la necessità di assistere
all'esperimento che quella
mattina avrebbe dovuto condurre l'ingegnere Harries; accennò brevemente
a qualche perplessità sull'esperimento che avrebbe potuto distruggere i
campioni, ma quando il professor Barrymore chiese maggiori delucidazioni
Majumdar preferì che si rimandasse la questione, per correttezza, all'arrivo di
Harries.
In
realtà, quella strana maniera di presentarsi, quella certa reticenza e
quell'accompagnatore, un pastore anglicano docente di storia delle tradizioni
popolari, misero in imbarazzo il professor Barrymore, che temette un conflitto
sulla paternità di una qualche scoperta scientifica. Era quanto di più
sconveniente potesse accadere in ambito scientifico, e sperava di non essere
coinvolto in una questione del genere.
D'altro
canto conosceva David Harries come uno scienziato corretto, persino ingenuo nel
dividere con altri il merito dei lavori scientifici. Era quindi portato a
respingere questa eventualità.
L’imbarazzo e la voglia di
tirarsi fuori dalle polemiche costituiscono il tratto distintivo
dell’atteggiamento accademico nei confronti del plagio.
Il plagio rappresenta spesso
anche un esercizio di potere e ne è testimonianza un racconto di Isaac Asimov, Immagine
Speculare ( Mirror Image – 1972 ) che potete trovare nella raccolta
“Tutti i miei robot”.
Il giovane ricercatore Gennao Sabbat ed il famoso professore Alfred Barr Humboldt disputano la paternità di
una teoria, accusandosi reciprocamente di averla rubata. Chi è il plagiaro? Il
professore famoso, naturalmente. Isaac Asimov, anche lui professore
universitario, conosceva bene i suoi polli. Il fatto che io vi abbia rivelato
come va a finire non toglie nulla al fascino del racconto, che vi consiglio di
leggere.
Gli
autori del plagio possono avere l’aiuto oggettivo delle Istituzioni
scientifiche, che pur di non perdere di credibilità ammettendo di avere nel
proprio staff dei plagiari, in genere fanno finta di nulla. *
Un esempio
dell’atteggiamento di indifferenza e copertura delle istituzioni accademiche
rispetto al plagio scientifico si trova in un recente articolo del Corriere della sera, che narra
della protesta del prof Picci rispetto all’impunità concessa a professori
colpevoli di plagio.
Io sono dell’opinione che
vada rivista la legislazione sul plagio scientifico, sia a livello nazionale
che internazionale. Suggerisco una soluzione che deriva dall’analisi sulle
caratteristiche economiche dell’editoria scientifica.
In caso di plagio oltre alla responsabilità dell’autore e dell’editore andrebbe considerata una responsabilità quanto meno economica dell’Università e dei Centri presso cui hanno lavorato gli autori di un plagio, dato che Centri di ricerca ed Università sono pienamente coinvolti nel circuito economico.
Oltre al concorso nel risarcimento si dovrebbe istituire un registro dei plagi organizzato per appartenenza istituzionale, in maniera da indurre Università e simili a un maggiore controllo. Le Università dovrebbero essere penalizzate dal numero di plagi prodotti dai suoi ricercatori.
Un tale approccio secondo me contribuirebbe drasticamente a ridurre il fenomeno del plagio scientifico.
Oltre al concorso nel risarcimento si dovrebbe istituire un registro dei plagi organizzato per appartenenza istituzionale, in maniera da indurre Università e simili a un maggiore controllo. Le Università dovrebbero essere penalizzate dal numero di plagi prodotti dai suoi ricercatori.
Un tale approccio secondo me contribuirebbe drasticamente a ridurre il fenomeno del plagio scientifico.
***
Periodicamente emerge la questione delle tesi di laurea plagiate, in genere in seguito a polemiche giornalistiche spesso nei confronti di politici che avrebbero copiato la propria tesi.
Ho trovato su internet un opuscolo in pdf del “Compilatio.net - Software di sorveglianza e rilevamento delle similitudini da Internet” in cui si sostiene che il 25% delle tesi di laurea prodotte nelle università italiane nel 2010 contiene più del 15% di testo già presente su internet. Si utilizza questo criterio perché una tesi può contenere dei brani come citazione, ma si assume che le citazioni siano limitate e non superiori ad una certa soglia, convenzionalmente del 15% del testo.
Un quarto delle tesi di laurea contiene parti copiate in maniera sostanziale, cioè plagio.
Sempre nella stessa ricerca si precisa che il 5% delle tesi di laurea contiene più del 40% di plagio da Internet e più del 20% delle tesi di laurea contiene meno del 5% di plagio da Internet. Con compilatio.net non si possono svelare i plagi di opere non presenti su internet, del tipo vecchie tesi conservate nei depositi delle università.
Quando studiavo all’università (anni 80 del secolo scorso, non c’erano i computer e non c’era internet ) si scherzava sulle tesi dal titolo “Uso di forbici, carta e colla per fare una tesi nuova a partire da tre tesi vecchie”.
Io penso che 22 o 24 anni, età in cui in genere si prepara una tesi, siano un’età giusta per fare l’atleta ma non per scrivere un libro dal contenuto innovativo. Le tesi di laurea erano un esercizio di retorica delle antiche università e uno strumento didattico dell’ottocento, e secondo me la stragrande maggioranza delle tesi sono sempre state delle mere formalità inevitabilmente scopiazzate, con qualche paginetta scritta dal volenteroso laureando.
Le tesi di laurea e di specializzazione non dovrebbero essere obbligatorie e probabilmente andrebbero abolite del tutto.
Ho trovato su internet un opuscolo in pdf del “Compilatio.net - Software di sorveglianza e rilevamento delle similitudini da Internet” in cui si sostiene che il 25% delle tesi di laurea prodotte nelle università italiane nel 2010 contiene più del 15% di testo già presente su internet. Si utilizza questo criterio perché una tesi può contenere dei brani come citazione, ma si assume che le citazioni siano limitate e non superiori ad una certa soglia, convenzionalmente del 15% del testo.
Un quarto delle tesi di laurea contiene parti copiate in maniera sostanziale, cioè plagio.
Sempre nella stessa ricerca si precisa che il 5% delle tesi di laurea contiene più del 40% di plagio da Internet e più del 20% delle tesi di laurea contiene meno del 5% di plagio da Internet. Con compilatio.net non si possono svelare i plagi di opere non presenti su internet, del tipo vecchie tesi conservate nei depositi delle università.
Quando studiavo all’università (anni 80 del secolo scorso, non c’erano i computer e non c’era internet ) si scherzava sulle tesi dal titolo “Uso di forbici, carta e colla per fare una tesi nuova a partire da tre tesi vecchie”.
Io penso che 22 o 24 anni, età in cui in genere si prepara una tesi, siano un’età giusta per fare l’atleta ma non per scrivere un libro dal contenuto innovativo. Le tesi di laurea erano un esercizio di retorica delle antiche università e uno strumento didattico dell’ottocento, e secondo me la stragrande maggioranza delle tesi sono sempre state delle mere formalità inevitabilmente scopiazzate, con qualche paginetta scritta dal volenteroso laureando.
Le tesi di laurea e di specializzazione non dovrebbero essere obbligatorie e probabilmente andrebbero abolite del tutto.
Marco Bonafede
proprietà letteraria riservata
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